Nella parte settentrionale del
comune di Liberi, in località Profeti, sulla parete nord del Monte S. Angelo
(anticamente Monte Melanico),
si affaccia, con due sbocchi, una grande caverna. La grotta è a circa 800 metri
di altitudine; chi vi arriva, si trova di fronte a un masso calcareo, alto più
di 500 metri. Dinanzi, c’è un piazzale romboidale di nuda rocca, largo circa
300 mq, con al centro un pozzo d’acqua sorgiva profondo due metri, con un
diametro di circa 1,30 m.
Oggi nella grotta ci sono tre
altari; ciò significa che vi era necessità di più mense per celebrare la messa
contemporaneamente a causa del numeroso concorso di clero e fedeli.
All’interno, lungo la parete, un ricamo di stalattiti operato dal millenario velario
d’acqua; sulla parete destra, un busto calcareo di donna al cui cospetto sorge
il primo altare di sasso, di patronato dei Profeti, frazione di Villa Liberi,
già Villa Sclavia; esso ha subìto un
rifacimento moderno ed è sormontato da un bassorilievo dell’Arcangelo, che con
la sinistra libra la bilancia e con la destra protesa impugna la spada contro
un nemico invisibile, da figura della Madonna col Bimbo in braccio e teste di
angeli. Segue, nel punto più interno della grotta, l’altare maggiore, in forma basilicale,
cioè rivolto al pubblico, privilegio raro che sottolinea l’importanza del
santuario e probabilmente spiega la definizione della grotta come basilica
nella cronaca medievale. Alle spalle di questo altare vi è una rozza
costruzione a pianta rettangolare coperta da una volta a tutto sesto. Più
avanti è il terzo altare, detto di Roccaromana, addossato alla roccia e quasi
completamente distrutto.
Sugli altari e nella grotta non
vi solo tracce di pitture, forse per la maggiore vetustà di questo tempio
rispetto ad altri notevolmente affrescati o, più probabilmente, per la costante
calcinazione delle pareti indotta dalle acque di stillicidio che potrebbe aver
coperto graffiti o piccole impronte sulle stesse.
La grotta ha una diramazione
verso nord-est lunga quasi 60
metri, che si restringe in un cunicolo; avanzando
carponi, si giunge ad un laghetto sotterraneo.
Quel penetrale litico immette
in una voragine denominata sciusciaturo per le folate gelide di vento
che salgono dal ventre della montagna; da quel cunicolo si usciva sul crinale
sovrastante; oggi è quasi otturato da macigni caduti dalle lamie litiche.
Indietreggiando, si giunge ad una saletta dove un macigno staccatosi dall’alto
crea un tavolo attorniato da quattro sedie in stalattiti. Attraverso un foro,
si scende nelle viscere della montagna; a circa cento metri di profondità si
hanno tre ramificazioni: la prima si dirige ad occidente, la seconda propende
verso la grotta di San Michele, la terza cala a strapiombo nelle viscere della
montagna. Dopo il secondo altare, una stalagmite sbarra il passo nella grotta;
a sinistra, si apre un secondo vano che ha per tetto una cupola, dove migliaia
di stalattiti pendule assumono forma sempre diversa: carciofo, alga, cocomero,
fungo, pigna, ciuffi di erica, leone, giaciglio, baldacchino.
Vi sorge l’altare centrale
appartenente alla cattedrale di Capua e, subito dopo, un terzo altare di sasso
designa il posto ove celebravano i sacerdoti di Calvi-Teano.
La grotta è dedicata a San
Michele Arcangelo; attualmente, l’8 maggio ed il 29 settembre, una solenne
processione parte da Profeti e giunge alla grotta, portandovi l’immagine del
santo.
Il culto
Il culto dell’Arcangelo si
sovrappone a quello antico, secondo il quale nella grotta viveva un mostro al
quale bisognava ogni anno sacrificare una giovane abbandonata nella valle di
Melito. Un anno la sorte toccò la figlia del Signore del luogo che, per salvare
il suo popolo ed il feudo, non si oppose. La fanciulla venne lasciata nella
vallata per essere divorata dal drago. In quei luoghi capitò San Michele che,
vedendola piangente e tremante, le chiese il motivo del suo dolore. Avutane
spiegazione, si fermò presso la fonte di acqua purissima e fresca che sgorga in
quei luoghi e attese l’arrivo della bestia. San Michele non scappò ma combatté
il drago per salvare la fanciulla; la lotta fu cruenta, ma alla fine
l’Arcangelo ebbe partita vinta. Il padre della fanciulla lo invitò a fermarsi
ed a chiedergli qualunque cosa, ma il giovane ringraziò e partì in giro per il
mondo. Da allora la grotta fu dedicata all’Arcangelo San Michele.
Credenze popolari
Una stalattite, a forma di
mammella, distilla dal capezzolo un’acqua ritenuta miracolosa: i fedeli la
raccolgono in una sottostante vaschetta di pietra e la usano per detergere il
viso e gli occhi.
Un’altra fonte di acqua
miracolosa è nei pressi dell’ingresso principale, dove è stato scavato nella
roccia un piccolo pozzo largo e profondo circa un paio di metri, che raccoglie
acqua ritenuta santa e miracolosa, da attingere solo con lo scuorzo, un attingitoio formato da
corteccia d’albero, ripiegata a fare un contenitore.
Inoltre, è usanza delle
pellegrine strofinarsi contro la roccia per propiziare la gravidanza; la nostra
grotta, inoltre, tutela la legittimità della filiazione, poiché si restringe ad
intrappolare i figli illegittimi e le donne infedeli o impudiche.
Alessandro Scheiber, III D
Antonio Civitella, V D